Nell’ultimo capitolo vi ho raccontato degli strambi modelli retributivi ipotizzati e suggeritici da Zlatko Radolovic, della guerra continua in Adriatic Osiguranje tra la sede di Udine e quella di Trieste e della “cena di Natale 2019”.
Nel caso non abbiate letto l’articolo ve lo riporto di seguito :
Adriatic Osicuranje nel periodo Covid
Con questo capitolo finalmente usciamo dalla “fase prodromica” della collaborazione Filipin-Adriatic e entriamo nel vivo della normale attività, o almeno quello che secondo Adriatic era la normalità.
Eravamo lanciati, a Udine stavamo sviluppando l’attività in maniera efficiente e veloce, raggiungemmo presto le 200 polizze al giorno.
Trieste arrancava a raggiungere le 40/50 polizze al giorno.
Intanto Nino Pavic, Zlatko Radolovic e Goran Jurisic passavano le giornate a ricordarci della loro presenza proponendo continue modifiche (insensate) alle tariffe e alle procedure, producendo più che altro danni all’attività nel suo complesso, speso rallentandola.
Arrivò a un certo punto quel fatidico giorno che tutti ricordiamo, quel Lunedì 9 Marzo 2020 dove l’allora presidente del consiglio, Giuseppe Conte, annunciò il lockdown generale dell’Italia.
Mi ricordo di quella sera, io e la mia compagna eravamo appena rientrati a casa quando sentimmo un suo familiare parlare dicendo che dal giorno successivo saremmo tutti rimasti “confinati” a casa.
Dopo un paio di minuti, al telegiornale, sentimmo l’elenco delle attività “critiche” alle quali era concesso rimanere aperte.
Agli operatori del settore assicurativo era “permesso” continuare la propria attività lavorativa in quanto questa era considerata di fondamentale importanza.
Analizziamo ora la gestione della situazione economico-sociale dell’azienda secondo Adriatic, o meglio, in stile Adriatic.
Appena scoppiato il caos io corsi subito ai ripari, iniziai a cercare un modo per riorganizzare l’attività efficientemente e velocemente.
Quello di cui avevo paura era che, dopo un anno di investimenti di tempo e denaro, la situazione di emergenza dovuta al covid potesse danneggiare quanto sviluppato.
Dato il veloce e repentino cambio dei regimi di libertà decisi di prevedere la peggiore situazione e cioè l’ipotetico obbligo per i dipendenti di lavorare in smart working.
A Udine avremmo sofferto più di tutti l’obbligo di lavorare in smart working, questo perché le condizioni lavorative che avevo garantito ai collaboratori di Udine erano impossibili da replicare.
Molte (tutte) le persone che hanno visitato la sede di Udine in quel periodo si ricorderanno quali fossero le attrezzature installate.
Ogni dipendente disponeva di monitor in formato esteso 32:9 da 49″ della Samsung, di tastiere meccaniche di alta qualità e di mouse adatti a garantire comodità anche per un uso prolungato.
Tutto questo era stato acquistato dalla mia società S&A Consulting S.p.A. e messo a disposizione dei collaboratori che mio padre gestiva a Udine, tutto questo per garantire il massimo delle prestazioni e dell’efficenza.
Pensate… Ad ogni aggiornamento migliorativo notavo un aumento del 20/30% della produttiva di ogni singolo operatore.
Considerate che l’investimento medio da me fatto per ogni singola postazione era pari a 2500 €. Adriatic non contribuì mai a queste spese, anzi.
Spesso mi contestavano il fatto che le postazioni non rispettavano i loro standard.
Sapete quali erano questi standard?
Monitor massimo 24″ con tastiera e mouse super economici bianchi.
In pratica la peggiore combinazione possibile per coloro che devono usare l’attrezzatura per tutto il giorno.
Per Adriatic l’importante era che l’attrezzatura fosse BIANCA, non interessava assolutamente la qualità e/o l’usabilità.
Arriviamo al punto cruciale, a quello che fa comprendere veramente fino in fondo quale fu l’approccio di Adriatic alla questione “lockdown”.
Per cercare di contenere i danni derivanti da un ipotetico lavoro in smart working io, nuovamente a spese mie, acquistai 4 portatili del valore unitario di circa 700€, li configurai e li detti in utilizzo ai dipendenti che non disponevano di attrezzatura propria a casa.
In qualsiasi società “normale” se un collaboratore/dirigente anticipa una spesa per garantire celerità e efficenza l’azienda provvede al rimborso dell’importo senza porre troppi ostacoli.
Alla mia richiesta di essere rimborsato dell’importo speso Adriatic rispose: “Chi ti ha detto di comprarli? A noi non interessa nulla del lockdown italiano, da noi i dipendenti fanno quello che diciamo noi e non possono permettersi di stare a casa”.
Zlatko Radolovic ci tenne a precisare che in quel periodo richiamò molti dipendenti di Trieste in quanto “si erano permessi” di stare a casa.
Sinceramente, nel clima di totale caos che c’era in quel periodo, era comprensibile che alcuni di loro, spaventati da ipotetiche sanzioni, avessero deciso di rimanere a casa. La risposta di Adriatic fu di “richiamarli all’ordine”.
Qui si capisce bene l’approccio slavo al problema, evitarlo e forzare la propria volontà. Notate come sia diametralmente opposto a quello italiano, tipicamente accomodante e propenso alla trattativa e quindi alla soluzione bonaria delle problematiche.
La soluzione dei problemi per Adriatic, covid o non covid, è sempre stata la stessa. Fare come volevano noncuranti dei problemi e, sopratutto, della realtà.
Questo capitolo termina qui; nel prossimo vi racconterò di un paio di elementi particolari tra i quali:
- Il “Riposo Russo” (in croato “ruski odmor”) voluto dal Sig. Dubravko Grigic
- La “Grappa della Dama Grgic”
- L’assegnazione del mio Mandato Agenziale
Da non perdere!
Il critico assicurativo,
Sean Filipin